Tutti parlano di sostenibilità, ma è davvero possibile un reale cambiamento?
Molti anni prima che la tutela ambientale e la salvaguardia del pianeta diventassero temi che tutti conosciamo, pochi erano coloro che si interessavano veramente alla sostenibilità e, ancor meno, alla sua attuazione nel campo della moda.
Il fashion system, storicamente poco incline ad un approccio eco-friendly, sembra dirigersi, negli ultimi anni, verso una svolta importante: seppur a fatica, questi temi si stanno facendo strada all’interno del mondo luccicante della moda.
La stilista Stella Nina McCartney, classe 1971 e figlia del ex Beatle Paul McCarteny, crea il suo primo capo d’abbigliamento all’età di soli 12 anni sentendo da subito l’esigenza di portare avanti la sua concezione di moda, una moda etica, una moda sensibile e innovativa.
Intraprende innumerevoli collaborazioni con personaggi di grande spicco del mondo della moda e, fin dalla sua prima collezione, si impegna nella ricerca di materiali innovativi da utilizzare come sostituti dei tradizionali pellami, pellicce, piume e cuoio, emergendo come una tra le fashion designer più innovative all’interno del fashion world.
Frutto della sua costate ricerca, le sue famosissime “pelli vegetali”: l’Eco Alter Nappa, realizzata per il 50% da olio vegetale.
È la stessa designer a definire il proprio marchio “vegetariano” e, anche grazie all’enorme successo da lei ottenuto, ha dimostrato
che intraprendere e attuare scelte alternative è possibile e, nel suo caso, possono anche diventare simbolo di altissimi standard qualitativi.
Nati dalla mescolanza di fibre naturali e composti sintetici, i tessuti firmati McCartney creano materiali rivoluzionari e sostenibili che, a loro volta, vengono utilizzati per la fabbricazione di capi che la stilista inglese definisce «veramente di lusso», al contrario dei «troppo comuni e antiprogressisti» capi in pelliccia di origine animale.
Ad essere antiprogressista non è solo l’uso dei pellami ma propriamente l’intero macchinario moda. A rivelare l’impatto nocivo ambientale (e non solo) del sistema, così come lo conosciamo, tra le industrie più inquinanti al mondo, quello tessile necessita urgentemente di un cambio di direzione. Gli abiti non solo dovrebbero essere progettati e realizzati in modo differente ma anche riciclati una volta terminato il loro ciclo di vita.
Un capo, da quando viene acquistato e prima di finire relegato in un angolo dell’armadio e poi in discarica, viene indossato il 36% in meno rispetto a quanto si facesse 15 anni fa.
Non solo la vita media di un capo è diminuita drasticamente, anche i cicli delle collezioni di moda hanno subito una accelerazione incredibile: si arriva a parlare di un ricambio settimanale e, se un volta non ci si poneva nemmeno il problema di domandarsi se il cappotto invernale acquistato due anni prima fosse ancora di moda, adesso un capo di abbigliamento qualunque fatica a rimanere di tendenza fino alla fine della stessa stagione. Questo meccanismo, all’interno del report, viene stimato possa costare circa 500 miliardi di dollari all’anno.
Per questi motivi, la stilista McCartney critica aspramente l’industria di cui fa parte, definendola «incredibilmente dispendiosa e dannosa per l’ambiente» e, supportando la Fondazione dell’attivista ambientale Ellen MacArthur che, oltre a denunciare la potenza inquinante del mondo della moda, ha come obiettivo ultimo la realizzazione di un nuovo sistema economico circolare.
Nel dossier di MacArthur sono esplicitati dettagliatamente gli enormi sprechi sia in termini di risorse economiche sia di materi prime.
Una tra le soluzioni indicate? Riciclare, riciclare, riciclare!
Riutilizzare il materiale riciclato è essenziale per ridurre l’utilizzo di petrolio, allo stesso modo anche sostituire i solventi chimici con quelli a base acquea ridurrebbe la dispersione di sostanze nocive e tossiche che, come il cromo, sono largamente utilizzati nell’industria per il trattamento della pelle concia.
Entriamo nel dettaglio: se non si cambia rotta si stima che l’industria tessile, entro il 2050, avrà consumato, da sola, un quarto delle risorse mondiali di carbonio.
Una cifra da spavento.
Eliminando l’uso dei vari pellami si ridurrebbe considerevolmente il rischio di deforestazione: l’allevamento bovino brasiliano contribuisce, da solo, al 14% della forestazione annua mondiale, 80% di tutta la regione amazzonica.
Il ruolo che riveste la foresta amazzonica all’interno dell’equilibrio climatico mondiale è fondamentale, dato che tiene sotto controllo i livelli di carbonio presenti nell’aria.
Se la foresta amazzonica scomparisse, la quantità di carbonio rilasciata nell’atmosfera supererebbe di cinquanta volte quella prodotta dagli interi Stati Uniti in un solo anno.
In questo caso una valida alternativa è la Bioplastica: il materiale sintetico non è certo privo di effetti nocivi per l’ambiente, ma è dimostrato che per produrre un chilogrammo di materiale sintetico si crea un impatto ambientale inferiore di ben 20 volte rispetto a quello generato per la produzione di un chilogrammo di pelle animale.
MacCartney sostiene che non ci sia più tempo da perdere: è il momento di impegnarsi in un progetto per un sostanziale cambiamento. Bisogna cambiare l’intero sistema, ormai obsoleto, limitando gli enormi sprechi e salvaguardando le risorse della terra.
L’iter tradizionale del mondo della moda è diventato eccessivamente dispendioso sotto ogni aspetto e, quindi, decisamente insostenibile.
Simona Maurino