GUCCI 2.0

La SS20 di Gucci è stata una vera e propria rivelazione. Alessandro Michele, direttore creativo della maison dal 2015, ha ridefinito completamente l’immagine del brand.

Addio dramma, addio metalli bizantini, addio botaniche in abbondanza, addio gioielli incrostati: Michele rompe il legame con l’estetica globalmente nota di Gucci per abbracciare quello che sembra il preludio ad un nuovo inizio.

La sfilata inizia con un tono distopico: una serie di capi basic sui toni del beige e del bianco vengono indossati da modelli fermi su nastri trasportatori e scorrono davanti al pubblico.

A contrastare completamente il prologo della sfilata c’è l’esplosione di colori dei look successivi, con i quali il pubblico viene spronato a rompere le gabbie imposte dalle norme sociali, e incoraggiato a sperimentare nuove forme d’espressione che, come dichiara il brand, “permettano alle persone di celebrare l’individualità espressiva e l’identità personale”.

L’omaggio al periodo Gucci di Tom Ford è evidente. Abiti trasparenti in pizzo abbinati a slip con ricamato il monogramma Gucci, top e bralette dalle scollature vertiginose, completi dai colori accesi e occhiali rétro legati con catene oversize e borse borchiate. Troviamo, inoltre, accenni agli anni ‘70 come le bluse dai colletti ampi rimboccate dentro a pantaloni a zampa.

Se la sfilata marcia sulle note della libertà di espressione, la campagna pubblicitaria è una celebrazione del surreale nell’universo visivo.

Ideata e diretta dal genio di Alessandro Michele, all’obiettivo di Yorgos Lanthimos viene lasciato il compito di catturare queste immagini paradossali, come può essere un cavallo a spasso per le strade di Los Angeles.

Simbolo indiscusso di libertà, l’animale è protagonista della campagna SS20 tanto quanto gli abiti della collezione.

Lo vediamo trottare negli scatti colorati per i boulevard della città, nei corridoi di un aereo, dentro una piscina o addirittura scambiarsi una mela con una modella, oppure in un’auto d’epoca, seduto sul lato del passeggero.

“Comunque si guardi la campagna nel suo complesso, non c’è modo di arrivare al punto, ed è proprio questo lo scopo, il che rende il suo messaggio liberatoriodichiara il brand. “Verità e stile stanno negli occhi e nei modi dell’osservatore.

La campagna, come la sfilata e la collezione, sono a libera interpretazione; vogliono sconcertare, stupire, mostrare quanto Michele sia capace di pendere il brand per le redini e condurlo in una direzione completamente diversa. Tenendo alta la bandiera della libera espressione, il direttore creativo imprime questo valore nella collezione, antidoto per le prescrizioni sociali che classificano e omologano l’identità individuale.

Chiara Gandini