La fine del gioco

Susanna Bettencourt torna nel passato per dar vita ad un nuovo futuro

Forse ci siamo dimenticati di come eravamo. Forse ci siamo dimenticati cosa eravamo.

Noi certe emozioni non le abbiamo forse nemmeno mai vissute, oppure abbiamo fatto in tempo a sfiorarle. A sfiorarle col pensiero, non scorrendo il palmo delle dita su uno schermo.

Saranno stati i nostri genitori, o forse i nostri fratelli maggiori o cugini o amici a vivere quelle sensazioni che oggi non esistono più e si presentano come un lontano ricordo, potere beffardo della nostra memoria, amica e nemica allo stesso tempo.

Susanna Bettencourt ripropone un concetto molto preciso e circoscritto, ovvero: ‘Vi ricordate quando sono arrivati i videogames e stavamo per incominciare quel percorso che ci avrebbe definitivamente allontanati dalle strade e dalla natura fino a portarci a ciò che siamo oggi?’

Ma no, non parliamo di oggi. Parliamo solo ed esclusivamente di quella frazione temporale incastonata tra gli anni ’80 e i ’90 del secolo scorso.

Ed ecco qua la designer che ricorda ciò che vedeva in quei momenti, ciò che viveva e ciò che l’ha ispirata per questo lavoro.

Siamo di fronte ad una collezione che parla poco, si ritrae in silenzioso ma non sfugge del tutto. I colori sono molto freddi, rigidi e definiti in tre categorie: il mattone, il bianco e quella via di mezza tra il verde e l’azzurro.

I pezzi in questione sono molto anni ’80 e ricordano quelle fanciulle che contraddistinguevano i cartoni animati e i telefilm che spopolavano sul piccolo schermo, spiagge fatate dove ogni adolescente si rifugiava dopo la scuola. E ci si rifugiava in modo spensierato e spassionato, desiderosi di qualcosa che non si sapeva, ma che presto sarebbe arrivato a cambiare le nostre vite.

Maglioni oversize, che coprono interamente busto, braccia e collo e avvolgono la modella nel calore del fuoco dell’inverno. Cappotti al ginocchio dal gusto occidentale, si abbinano a gonne longuette scure e rigide, proprio come gli abiti che scendono alle caviglie e danno un tono quasi istituzionale ad una collezione che punta il dito alla modernità. Ma è anche sbagliato dire questo: la designer infatti non biasima quello che è il presente, ma cerca di riportarci a quello che è stato il passato, andando a risvegliare la nostalgia che c’è in noi.

Felpe over, mega sciarponi, cardigan e giubbini, il tutto racchiuso in una spirale di forme geometriche e simboli che davvero ricordano quei lontani video games che avrebbero rivoluzionato la storia dei media.

I pantaloni sono a vita alta, le giacche si abbottonano al collo e le sciarpe sono lunghe fino a terra. Le gonne sono lunghissime o sopra il ginocchio, ma sempre piuttosto semplici ed austere, risultato metaforico di un ponte che si alza su di un’epoca destinata a finire e (forse) a non tornare più. Erano gli anni delle fiction, dei telefilm e degli idoli americani, i quali avrebbero presto lasciato il posto alle esigenze ludiche che hanno oggi raggiunto il loro apice, o per lo meno fino a dove l’occhio è arrivato. Erano gli anni dove si giocava all’aria aperta, nei giardini, nei cortili o sulle strade, pieni di speranze e sogni.

Susanna Bettencourt presenta una collezione commemorativa, ma non celebrativa. Qua non si parla dello splendore degli anni ’80 e di tutto ciò che oggi ricordiamo di quella decade. Qua si parla di ciò che rischiamo di dimenticare se non facciamo qualcosa.

Se non ci mobilitiamo fin da subito arriveremo a dimenticare chi eravamo e cosa siamo stati.

Se non facciamo subito qualcosa saremo risucchiati dai tablet e saremo sempre più distanti da quei profumi che circondavano le strade e da quei colori che facevano sembrare l’orizzonte sempre meno lontano.

Luca Pietro Chiesa