Moda senza genere a Parigi

Shih Shun Huang ribalta i generi maschili e femminili durante la settimana della moda parigina autunno-inverno 18/19

Lo stilista cinese, fondatore del brand Damur, ha dato vita ad una collezione che stravolge i generi di sesso maschile e femminile. Lo indicano già i nomi della collezione presentata nel corso della settimana della moda parigina di questo anno e i capi ne sono la prova. La collezione si divide in tre linee denominate: #LIBERATEME senza genere, #IAMSLUT uomo e #UAREPRUDE donna. I capi hanno in comune un senso di libertà dato della linee pulite e lineari, quasi geometriche, che aprono spazi nuovi nascosti all’occhio. Ne è un esempio un capo da donna che racchiude insieme due abiti: sul retro si ha un abito da cocktail rosso acceso mentre la parte davanti è composta da uno scamiciato in denim. Le forme si aggrovigliano per indicare un senso di libertà con il quale ogni individuo può apparire come vuole. Questo brand giovane, creato nel 2015, da sfogo alla nuova generazione di individui che stanno entrando nel circolo della moda e che non fanno più caso al genere per quanto riguarda determinati capi di abbigliamento quali i cappotti, i jeans, le camicie. Sono capi indossati sia dall’uomo che dalla donna. I coordinati cappotto-pantalone sono l’emblema del mescolarsi del guardaroba maschile e femminile; vengono indossati sia insieme che separatamente per dar vita ad un mix di forme e texture diverse e rigorose ma che insieme creano armonia. I colori vengono utilizzati per creare contrasti in un unico capo, dei patch di colori che raggruppati rendono vivace anche il look più semplice come può essere un jeans.  Punto focale sono le camicie che acquisiscono un’ aria androgina, pulita: si potrebbe vedere un richiamo all’architettura delle camicie di Ferragamo; questi pezzi puntano alla luminosità, alla purezza e alla forma delicata ma allo stesso tempo decisa e rigorosa. Questi capi sconvolgono gli stereotipi di genere e lanciano un messaggio di libertà che la moda dovrebbe esprimere sempre.

Vittoria Scalvenzi