Non dimenticarmi

Ammalarsi per non scomparire

Dalla 35esima edizione del Torino Film Festival il film Israelo-franco-tedesco Non dimenticarmi (Don’t forget me) ne era uscito con un trionfo. Miglior film, nonché miglior attore e miglior attrice protagonista.

Il meritato risultato di un lavoro che dimostra un’accuratezza e sensibilità profonde sul tema dei disturbi mentali.

Non a caso il suo regista, l’israeliano Nam Rehari, ha diretto diversi cortometraggi realizzati da malati di mente e ha dichiarato che questo film è anche il frutto di queste sue esperienze.

La psicologia dei due protagonisti, la giovane Tom, ricoverata in una clinica per disturbi alimentari, e il suonatore di tuba Neil, logorroico e dissociato, è finemente tratteggiata.

Dopo il Torino Film Festival approderà finalmente a novembre nelle nostre sale cinematografiche questa storia eccentrica (ma mai grottesca) di un amore fuori dai binari. Romanticismo alternativo di un amore che forse è solo il tentativo di aggrapparsi a qualcun altro per non sprofondare del tutto, proprio mentre quel qualcuno sta facendo lo stesso con te.

La forza del film di Ram Nehari, tra liti familiari, bevute notturne, karaoke e la marcetta suonata dalla tuba, sta soprattutto nella grazia leggera con cui queste vite ci vengono raccontate. Lunghi sguardi fatti di discorsi taciuti, ma assolutamente rivelatori, sopperiscono a parole e idee confuse, buffi vaniloqui fuori luogo, al limite del comico, di chi è smarrito nel proprio labirinto mentale.

Ram Nehari avrebbe potuto cercare la lacrima, magari dopo una risata, ma sembra comunque averla voluta evitare, trovando così ben altra strada. Non è infatti la pietà ad avvicinarci alle peripezie di Tom e Neil, ma la comprensione. In una giornata qualunque che potrebbe cambiare poco come cambiare tutto, ma che è assolutamente rivelatrice, ciò che resta è il rispetto per le difficoltà degli altri. Il rispetto per una “normalità”, loro malgrado, alterata.

Gli scambi di battute tra i due protagonisti sono sfasati, eppure i due si appoggiano l’uno all’altra. Forse immedesimandosi e trovando giustificazione in chi è simile. Quello che è chiaro è che, mano a mano, Tom e Neil si aprono, si confidano, quasi escono dai loro schemi ricorrenti.

Non che una malattia possa curarne un’altra, anzi. Eppure una calda compagnia sembra ricordarci che comunque ancora esistiamo, che non stiamo scomparendo. Ci ricorda che non stiamo venendo dimenticati.

Michele Leombruni